Avv. Michele Musarra
Il testo coordinato del Decreto-legge 28 gennaio 2019 n. 4 recante “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza” prescrive tra l’altro, all’art. 2 comma 1, che il beneficio in esame “è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, dei seguenti requisiti: a) con riferimento ai requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno, il componente richiedente il beneficio deve essere … (omissis) …2) residente in Italia per almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo …”.
Molti soggetti richiedenti la prestazione, sprovvisti di residenza anagrafica decennale sul territorio italiano – ma di fatto presenti in Italia da oltre 10 anni – hanno dichiarato, all’atto della presentazione della domanda, di essere “residenti in Italia da almeno 10 anni” ed ottenuto, in virtù anche di detta dichiarazione, il beneficio richiesto. In seguito, in forza di una interpretazione restrittiva della norma sopra richiamata, assumendo valida ai fini in questione la sola residenza risultante da certificazione anagrafica, nei loro confronti è stata contestata l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 7, commi 1 e 2, d.l. n. 4/2019, e all’art. 640-bis, con successiva conseguente notifica da parte dell’I.N.P.S. del provvedimento di revoca del beneficio e ordine di restituzione degli importi già percepiti. In particolare, è stato contestato di aver beneficiato indebitamente del reddito di cittadinanza in conseguenza della falsa dichiarazione, resa al momento della presentazione dell’istanza, di essere “residenti” in Italia da almeno 10 anni, circostanza, questa, successivamente non comprovata dal contenuto del certificato storico di residenza anagrafica acquisito a seguito di controlli mirati.
In effetti, la disposizione in questione ha dato luogo a non pochi dubbi interpretativi, soprattutto nelle ipotesi sopra riferite di istanti, cittadini stranieri, comunitari o extracomunitari, presenti sul territorio italiano da oltre un decennio, ma sprovvisti di residenza presso un Comune italiano oppure con residenza ottenuta solo dopo anni di effettiva presenza in Italia, laddove non si siano potuti attivare per richiederla in precedenza o nell’ipotesi di inadempienza delle amministrazioni locali nel garantire tale diritto. In simili casi, tuttavia, la interpretazione restrittiva della norma nel senso sopra riferito, limitante la concessione del Reddito di cittadinanza solo in presenza del requisito della residenza anagrafica decennale – senza considerare il tempo di effettiva presenza sul territorio italiano – colloca la disposizione in evidente contrasto non solo col diritto dell’Unione Europea, ma anche con la nostra Costituzione.
Già la Commissione U.E. ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia in quanto la norma, nel disciplinare i requisiti necessari ai fini dell’attribuzione del beneficio, non risulta coerente con il diritto dell’Unione Europea in materia di libera circolazione dei lavoratori, diritti dei cittadini, soggiornanti di lungo periodo e protezione internazionale. Afferma in particolare la Commissione che tutte le prestazioni di sicurezza sociale devono essere accessibili ai cittadini dell’U.E. indipendentemente da dove abbiano soggiornato in passato – così come prescritto dal Regolamento (U.E.) n. 492/2011 e dalla Direttiva 2004/38/CE – e che l’obbligo del possesso del requisito della residenza decennale ai fini dell’accesso al beneficio costituisce una chiara e oggettiva forma vietata di discriminazione “dissimulata”, in quanto può essere soddisfatto con maggiore facilità dai cittadini italiani piuttosto che dai lavoratori migranti, finendo così per privilegiare in misura sproporzionata e ingiustificata i primi a danno dei secondi.
Ampiamente evidente risulta anche la incompatibilità tra il requisito della residenza anagrafica decennale ed il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della nostra Costituzione: poiché la ratio perseguita dalla l.n. 4/2019 attua una oggettiva e concreta misura di contrasto alla povertà, di sostegno economico per il reinserimento nel mondo del lavoro e di inclusione sociale, darebbe luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento la determinazione di escludere dal beneficio i soggetti che si trovino effettivamente presenti sul territorio dello Stato da almeno dieci anni pur se nella impossibilità di documentare tale presenza mediante certificazione anagrafica, rispetto a coloro che, in analoghe condizioni economico-sociali, abbiano la possibilità di documentare la richiesta presenza in Italia mediante certificato storico di residenza.
Nonostante le suesposte considerazioni, ad una molteplicità di percettori del reddito di cittadinanza effettivamente presenti sul territorio italiano da oltre dieci anni ma sprovvisti di iscrizione anagrafica di pari durata, è stata contestata l’ipotesi delittuosa di cui all’art. all’art. 7 d.l. n. 4/2019, e all’art. 640-bis per aver dichiarato di essere “residenti” in Italia da oltre un decennio, circostanza poi non confermata dal contenuto del certificato storico di residenza anagrafica. Conseguenzialmente, l’I.N.P.S. ha autoritativamente disposto nei confronti dei medesimi la revoca del beneficio e ordinato la restituzione degli importi già erogati.
La giurisprudenza prevalente si è tuttavia preoccupata di riconoscere e tutelare la ratio dell’istituto e, in sede civile, nell’accogliere le argomentazioni formulate dai destinatari del beneficio, ha dichiarato illegittime le determinazioni dell’Istituto previdenziale di revoca del beneficio e restituzione di quanto erogato, evidenziando, tra l’altro, che lo stesso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circolare del 14 aprile 2020 n. 3803, “ha chiarito che il requisito della residenza protratta per 10 anni deve intendersi riferito alla effettiva presenza sul territorio italiano e non alla iscrizione anagrafica, consentendo all’interessato di fornire prova della sua presenza anche in assenza di iscrizione” (Trib. Torino, Sez. Lavoro, sent. del 14.7.2022 e, analogamente, Trib. Roma, Sez. Lav., ordinanza del 27.9.2022).
In sede penale, il Tribunale di Reggio Calabria, con recente sentenza del 16 maggio 2023, ha prosciolto una cittadina extracomunitaria imputata dei reati di cui agli artt. 7, d.l. n. 4/2019 e 640 bis c.p. per avere, nel presentare “istanza volta ad ottenere il beneficio economico del reddito di cittadinanza, dichiarato falsamente di risiedere sul territorio nazionale da almeno 10 anni, in tal modo ottenendo, indebitamente, l’accoglimento della stessa”, circostanza poi non confermata dal contenuto del certificato di residenza storico acquisito a seguito di controlli mirati effettuati. Nel merito, il Tribunale ha in particolare ritenuto non “provata, a dispetto della prospettazione accusatoria, la sussistenza del fatto di reato, posto che, sulla scorta della documentazione difensiva depositata agli atti del procedimento, appaiono integrate le condizioni in capo all’odierna imputata per il riconoscimento del beneficio in argomento…(omissis)… Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha chiarito, con la nota dell’Ufficio Legislativo n. 1319 del 19.2.2020, che … il requisito della residenza vada inteso come effettiva presenza sul territorio nazionale, a condizione che tale presenza per la durata richiesta dalla norma sia stata opportunamente documentata e accertata … L’attestazione della residenza anagrafica costituisce, pertanto, una mera presunzione del luogo di residenza dell’interessato, superabile con altri oggettivi univoci elementi di riscontro, dimostrativi della regolare presenza sul territorio, quali, a titolo esemplificativo, un contratto di lavoro, l’estratto conto contributivo dell’Inps, certificazioni mediche scolastiche, contratto di affitto, permessi di soggiorno.
Nel caso di specie risultano plurimi elementi di riscontro di natura oggettiva che consentono di ritenere integrata la presenza …” dell’imputata sul territorio nazionale per il periodo richiesto dalla norma. “Per tali ragioni, ritenendo condivisibili le argomentazioni espresse dall’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro nelle note sopra indicate, si può sostenere che la donna possegga il requisito della residenza, in senso sostanziale, … circostanza che le ha consentito di percepire lecitamente il reddito di cittadinanza, con conseguenze che si riverberano anche in ordine alla fattispecie di truffa contestata, da ritenersi parimenti insussistente, attesa l’assenza di alcuna falsa attestazione di residenza ad opera dell’imputata”.
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